Nel 1880, Pierre e suo fratello Jacques Curie, svolgendo delle indagini sperimentali sul quarzo, scoprirono che se si esercita una compressione sul cristallo lungo un suo particolare asse compaiono delle cariche elettriche sulle facce opposte. Tale effetto scompare al cessare della pressione applicata. Scoprirono anche che se si stira il cristallo, anziché comprimerlo, si ottiene una polarizzazione elettrica invertita. Dedussero quindi che la deformazione meccanica del cristallo, lungo determinate direzioni, determina la sua polarizzazione elettrica. Tale fenomeno prende il nome di effetto piezoelettrico.
I fratelli Curie riuscirono anche a osservare, seguendo le indicazioni di Gabriel Lippmann, l’effetto piezoelettrico inverso: se si sottopone il cristallo a un campo elettrico, il cristallo subisce una deformazione (compressione o dilatazione) che è direttamente proporzionale all’intensità del campo applicato.
Nel corso del XX secolo, l’effetto piezoelettrico (diretto e/o inverso) ha trovato molteplici applicazioni tecnologiche. Un cristallo piezoelettrico, infatti, può tradurre deformazioni meccaniche in segnali elettrici e viceversa.
Un’applicazione relativamente recente è quella dell’oscillatore a quarzo piezoelettrico che ha permesso di realizzare orologi di estrema precisione. Il principio di funzionamento sfrutta l’effetto piezoelettrico inverso. La pila dell’orologio fornisce una tensione elettrica continua che provoca una dilatazione e una contrazione del cristallo. Il cristallo, dunque, vibra a una frequenza che consente di scandire il tempo con notevole precisione.
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